La domanda non si controlla.
Si osserva, si anticipa, si interpreta. Si governa, quando possibile.
Ma se c’è una certezza nel demand planning, è che l’incertezza non si elimina mai del tutto. Il punto, quindi, non è inseguire l’illusione della previsione perfetta, ma costruire un processo che riduca il margine di errore e permetta di prendere decisioni solide anche con dati imperfetti.
Eppure, la maggior parte delle aziende affronta il demand planning con una fiducia quasi cieca nelle proprie previsioni, salvo poi sorprendersi quando la realtà segue tutt’altra direzione. Modelli previsionali statici, riunioni mensili che si trasformano in battaglie tra ottimisti e pessimisti, scelte dettate più dall’istinto che dall’analisi. Il risultato? Magazzini pieni di ciò che non serve, stockout sui prodotti chiave, margini erosi da decisioni tardive o mal calibrate.
Rendere il demand planning uno strumento realmente strategico significa smettere di considerarlo un processo amministrativo e iniziare a trattarlo per quello che è: una disciplina che unisce dati, esperienza e capacità di visione.
Uno degli errori più diffusi nel demand planning che mi è capitato di riscontrare riguarda il confondere l’elaborazione di una previsione con la capacità di gestire la domanda.
Una previsione non è la realtà.
È un’ipotesi, spesso ottimista, talvolta prudente, quasi mai esatta. Affidarsi a un unico scenario senza una strategia di adattamento significa condannarsi all’errore sistematico.
Un’organizzazione del settore manifatturiero con la quale ho lavorato si trovava esattamente in questa situazione: investimenti ingenti in strumenti previsionali, modelli raffinati fino all’ultima variabile, ma una totale incapacità di rispondere ai cambiamenti imprevisti. Si sono ritrovati con un eccesso di scorte su prodotti obsoleti e continui ritardi su quelli più richiesti. Il vero problema non era la qualità della previsione, ma la rigidità del processo decisionale: il demand planning funzionava solo in condizioni di stabilità, crollava non appena si presentava una variabile fuori schema.
Il vero vantaggio competitivo non è avere previsioni perfette, ma sviluppare una capacità di risposta agile e basata su dati reali. Se il mercato cambia, la pianificazione deve cambiare con esso, senza aspettare la prossima riunione mensile per reagire.
Flessibilità sempre e comunque, a prescindere dai fattori esterni con i quali ci si deve destreggiare.
È fondamentale non cadere in una trappola diffusa di questo processo; trattare tutti i prodotti e clienti allo stesso modo può creare non poche complessità. Non tutte le domande sono uguali. Non tutti gli errori provocano le medesime conseguenze. Una previsione sbagliata su un prodotto core ha conseguenze molto diverse da un errore su una referenza marginale. Eppure, molte aziende continuano a pianificare con logiche uniformi, senza una vera segmentazione della domanda. Pensano di risparmiare tempo e risorse, quando in realtà non solo non sfruttano il potenziale a loro disposizione, ma complicano quella che è l’operatività.
Concludo questo breve insight ribadendo lo snodo centrale sul quale tenevo a puntare: quando ci riferiamo a processo di pianificazione della domanda, non dobbiamo pensare che significa avere sempre la risposta giusta, ma di sapere dove serve davvero essere precisi, concentrando le proprie risorse, e dove è possibile invece accettare un margine di errore senza impattare il business.