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Quando uno pensa al cloud non dovrebbe fermarsi a considerare la sola riduzione dei costi IT, benché sia un fattore importante, ma concentrarsi sull’alto potenziale che ha per la creazione di valore aziendale.

Una ricerca di McKinsey ha rilevato che circa il 90% del valore del cloud riguarda un time-to-market più rapido, innovazione, aumento della resilienza e risparmi sui costi delle operations.

Ma non solo. Grazie al cloud è possibile avere tutti i dati completi e precisi nel momento esatto in cui si crea l’esigenza. Ecco perché avere un’architettura cloud o ibrida integrata e performante è diventata un’importante necessità operativa di tutte le organizzazioni.

L’integrazione dei dati nel cloud unisce infatti la potenza dei metodi di integrazione tradizionali agli approcci agili e alle soluzioni data driven. Come abbiamo visto nel webinar dedicato al Master Data Management e alla relativa gestione delle informazioni dei prodotti o in quello relativo al valore dei dati dei clienti, un’integrazione moderna prevede funzioni correlate alla qualità, alla catalogazione e alla gestione delle informazioni, oltre alla gestione completa di tutte le sorgenti (nuove o esistenti che siano).

Quando l’integrazione dei dati è agile e completa, è in grado di favorire la circolazione delle informazioni e mettere quindi a disposizione tutto il potenziale dei dati e di ciò che ne deriva. Questo si può tradurre con un semplice concetto: l’integrazione dei dati in cloud risponde alla necessità reale di un’infrastruttura (o di una soluzione) di riuscire a raggiungere tutte le informazioni e le persone, nel momento corretto. Questo è un aspetto chiave per tutte le organizzazioni, indipendentemente da settore o dimensione, che devono destreggiarsi tra ambienti sempre più ibridi e distribuiti.

Le organizzazioni sono spesso talmente desiderose di buttarsi sul cloud che si affrettano a migrare soluzioni senza considerare funzionalità come l’automazione o le architetture di riferimento. Questo può avere degli effetti negativi, come scarsa sicurezza e resilienza IT, da non prendere sotto gamba.

Perchè? Attraverso un’architettura più resiliente si possono ridurre i tempi di inattività di quasi il 60% delle applicazioni migrate.

Inoltre le aziende stanno sviluppando una tendenza a concentrare i propri sforzi nel cloud sulla migrazione delle applicazioni, con urgenza. Ma questa non è una strategia, è una corsa senza obiettivo, che ha come risultato un insieme disgiunto di applicazioni che di certo non ne migliorano le prestazioni. Ad esempio, nel processo di acquisizione e trasformazioni dei dati, il carico di lavoro di molti sistemi aumenta rapidamente, richiedendo molte risorse sul lato server, per poi ridursi ancora. In questi casi un sistema elastico può acquisire automaticamente le risorse necessarie, per poi riallocarle una volta terminato il picco di richiesta.

Soffermiamoci brevemente anche sulla collaborazione: centralizzando i servizi, la gestione dei dati diventa omogenea, aumentando la cooperazione. Le risorse, ma anche i servizi, possono essere infatti condivisi su grande scala tra gli stakeholders delle diverse aree, oltre ad essere utilizzati sulle varie piattaforme ibride di integrazione dei dati. 

Ed ora torniamo al titolo del nostro post di oggi: Dati in cloud, lo stai facendo bene?

Il cloud può essere usato bene, come naturalmente essere usato male. È necessario riuscire a puntare sui fattori che creano valore per l’integrazione dei dati in questo ambiente.

Ciò non significa riuscire solo a cogliere i vantaggi di una tecnologia innovativa, veloce e agile, ma anche adottare un nuovo modo di lavorare, rendendo le attività migliori e più performanti, sia a livello tecnologico che di business.

In tal modo le organizzazioni potranno raggiungere il successo ed eccellere.

Vincenzo Quarta

Vincenzo Quarta

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