Skip to main content

Negli ultimi anni ho visto le aziende correre a testa bassa verso l’adozione di intelligenza artificiale, automazione e architetture cloud ibride sempre più complesse. Budget importanti, task force dedicate, progetti ambiziosi. Eppure, c’è un punto su cui inciampano ancora troppo spesso: la gestione dei dati di base.

Parlo dei dati anagrafici fondamentali – clienti, fornitori, prodotti – quelli che diamo per scontati, ma che sono il fondamento su cui si costruisce ogni processo digitale. Senza una base dati coerente, l’AI non impara, l’automazione fallisce, il reporting mente.

Ricordo un progetto su un consolidamento ERP su scala europea. Su carta: una classica operazione di razionalizzazione. Nella pratica: un incubo di disallineamenti. Gli stessi fornitori censiti con nomi diversi in ogni Paese. Codici prodotto duplicati, descrizioni ambigue, versioni locali non tracciate.

Il risultato? Un sistema globale che non restituiva una “single source of truth”, ma un mosaico di dati incoerenti. Le dashboard erano belle da vedere, ma poco utili per decidere. E gli algoritmi predittivi producevano insight fuorvianti, perché stavano imparando da dati sbagliati.

“L’AI non corregge l’errore umano. Lo amplifica.”

Se la base è fragile, il castello crolla. E il paradosso è che in molti casi la base è fragile perché è stata ignorata.

Durante una sessione di lavoro con il CIO di una multinazionale tedesca, è emersa una presa di coscienza lucida: “Se non sistemiamo i master data, non ha senso investire in analytics”. Semplice, vero. Ma non banale.

Il Master Data Management (MDM) è ancora visto da troppe aziende come un’attività IT, tecnica. In realtà, è una leva strategica, che richiede risorse dedicate e governance trasversale. Non basta definire chi fa cosa: serve stabilire chi è responsabile dei dati, come vengono approvati, aggiornati, distribuiti. E soprattutto: serve continuità.

Il dato non è mai “sistemato una volta per tutte”. È un asset vivo, che va gestito, custodito, arricchito nel tempo.

Chi ha investito davvero in MDM conosce il valore. Il dato pulito ha infatti un impatto diretto sulla customer experience, sull’efficienza, sul time-to-market. Ed è qui che si misura il valore della tecnologia: non nei tecnicismi, ma nella capacità di produrre risultati concreti.

Tre verità che chi lavora con i dati dovrebbe ricordare

  1. Il dato è un asset aziendale, non un by-product dei processi. Va gestito con la stessa cura di un impianto produttivo o di una linea di business.
  2. L’ownership è cruciale. Ogni dato deve avere un proprietario chiaro, con responsabilità definite. Senza governance, i dati si degradano. Sempre.
  3. La qualità dei dati non è un progetto. È una cultura. Non basta “fare pulizia” una volta. Serve una mentalità diffusa, processi ricorrenti, strumenti adeguati.
Elisa Pedretti

Elisa Pedretti

Ti aiuto a sbloccare il valore dei tuoi dati, creando delle visualizzazioni migliori