Ci sono due tipi di aziende: quelle che navigano in una tempesta di dati senza sapere dove andare e quelle che hanno capito che senza una mappa chiara – un Data Catalog ben strutturato – anche il miglior sistema di Business Intelligence rischia di essere inefficace.
Ho lavorato con tante aziende negli anni e ho visto ripetersi sempre lo stesso schema: dati ovunque, strumenti avanzati di analisi, ma difficoltà nel trovare le informazioni adeguate al momento del bisogno. I team marketing chiedono un report e ricevono numeri discordanti poiché derivano da fonti diverse. I finance si affidano a fogli di calcolo personali perché non si fidano dei database aziendali. Gli analisti perdono più tempo a cercare dati che a interpretarli. Questo porta caos, rende i processi più complicati, rischiando che diventino ingovernabili velocemente.
E no, non è questione di software, ma di approccio. La Business Intelligence ha senso solo se i dati sono affidabili, accessibili e ben catalogati. Proprio qui che entra in gioco il Data Catalog.
Adoro paragonare il Data Catalog a una biblioteca ben organizzata. Se entri in una biblioteca senza un catalogo ben definito, potresti avere a tua disposizione i libri migliori del mondo, ma non riuscire a trovarli mai. Lo stesso vale per le informazioni aziendali: senza un catalogo che descriva cosa sono, da dove vengono, chi li ha usati, con che frequenza e per quale scopo, sono solo numeri.
E allora, Mirko, ci spieghi come funziona un buon data catalog?
- Definisce chiaramente l’origine dei dati e il loro percorso: sapere da dove arriva un’informazione è essenziale per valutarne l’affidabilità.
- Mappa le trasformazioni che un dato ha subito, aiutando a comprendere eventuali discrepanze tra diverse versioni dello stesso report.
- Gestisce la governance, specificando chi può accedere, modificare e utilizzare un determinato dataset.
- Facilita la ricerca e il riutilizzo dei dati, abbattendo il tempo perso a cercare informazioni e riducendo il rischio di duplicazioni o errori.
Preciso che questi elementi sono fondamentali in qualsiasi strategia data-driven, ma ancora troppe aziende li sottovalutano, affidandosi a logiche frammentate e processi manuali.
Ho visto aziende con database enormi che, paradossalmente, non riuscivano a prendere decisioni migliori di quelle che operavano su dataset ridotti ma ben organizzati. Il motivo è semplice: la mancanza di metadati.
Un dato senza contesto è inutile. I metadati sono ciò che trasforma un numero in informazione utile, perché ne descrivono il significato, l’origine, il formato e le regole di utilizzo. Ci sono i metadati tecnici, che indicano la struttura del dato, ma anche quelli di business, che spiegano a cosa serve e come va interpretato.
Se un’azienda non cura i propri metadati, sta di fatto sprecando il valore dei dati stessi. Peggio ancora, sta permettendo che decisioni strategiche vengano prese su basi fragili.
Negli ultimi anni, AI e Machine Learning hanno trasformato il modo in cui possiamo gestire i Data Catalog. Fino a poco tempo fa, catalogare i dati era un processo lungo e laborioso, spesso manuale. Oggi, grazie a sistemi intelligenti, è possibile automatizzare il tagging e l’arricchimento dei metadati, identificare relazioni tra dataset e suggerire miglioramenti per aumentare la qualità e la coerenza delle informazioni.
Qui tengo a ribadire un concetto già espresso in altri approfondimenti: una delle sfide più grandi che ho incontrato nelle aziende non è stata la scelta della tecnologia e la relativa implementazione, ma il cambio di mentalità che inevitabilmente deve arrivare. I dati non devono essere visti come una “cosa da IT”, ma come un asset strategico utile a tutti.